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DCP

Formato di pacchetto
Scheda tecnica
Nome completo: 
SMPTE Digital Cinema Package
Estensioni: 
.pkl
.cpl
.xml
.mxf
Tipo MIME: 
application/xml
application/mxf
application/cpl+xml
Sviluppato da: 
Society of Motion Picture and Television Engineers
Tipologia di standard
de iure
Proprietario libero
Estendibile
Livello 3
Derivato da: 
DCP della DCI (Digital Cinema Initiative) e "Interop"
Revisione: 
1.3 (2018)
Riferimenti: 
  • Famiglie di standard ('ST'), prassi
  • raccomandate ('RP'), regole tecniche ('EG')
  • 429-433 della SMPTE:
  • pacchetto: ST429-2:2009,
  • ST429-3:2007,
  • ST429-6:2006, ST429-7:2006, ST429-8:2007,
  • ST429-9:2007
  • video: ST429-4:2006, ST428-11:2009,
  • ST428-21:2011, ST428-2:2006, EG432-
  • 1:2010;
  • audio:
  • ST428-1:2006, ST428-2:2006,
  • ST428-3:2006
  • sottotitoli:
  • ST429-5:2009, ST429-
  • 12:2008, ST428-21:2011;
  • •www.smpte.org
  • •www.dcimovies.com
Conservazione: 
No
cfr. §2.8 per i sottotitoli
Categoria lettura: 
Speciale
Raccomandazioni lettura: 
Raccomandato per la distribuzione e post-produzione cinematografica
Categoria scrittura: 
Speciale
Raccomandazioni scrittura: 
Raccomandato per distribuzione e (non criptato) per archiviazione di contenuti cinematografici

Il formato di pacchetto per il cinema digitale (DCP, digital cinema package in inglese) è un pacchetto di file il cui scopo è contenere una copia di contenuto cinematografico da distribuire nelle sale di proiezione. Esistono due tipi di standard DCP: quello della Digital Cinema Initiatives (DCI), ora obsoleto, e quello della SMPTE, più recente, che attualmente supporta tutte le novità tecniche.

Un DCP è costituito da file multimediali MXF, con schema operativo OP2b, contenenti separatamente almeno una traccia audio (in formato PCM non compresso) e una video (con compressione inter-frame di tipo wavelet),57 più alcuni sidecar file in XML. Da questo punto di vista, l’architettura del pacchetto è simile a quella del formato di master interoperabile (IMF, sopra descritto). Ciò che rende le DCP peculiari sono i vincoli ai formati audiovisivi delle sale teatrali; la possibilità, mediante messaggi inseriti in specifici istanti della timeline della composizione, di comandare operazioni in sala quali il controllo del proiettore, del sistema di tende, sipari e luci, o di altri dispositivi di intrattenimento proprietari; la possibilità di cifrare l’intero contenuto sbloccandolo soltanto con una chiave crittografica (cfr. §2.16) generata in maniera sicura, tipicamente dallo stesso applicativo che ha masterizzato la DCP.

Le DCP cifrate hanno infatti tutti i loro file MXF cifrati, ciascuno mediante crittografia simmetrica (algoritmo AES) con chiave-contenuto a 256 bit. La chiave-contenuto di ciascun MXF è sempre archiviata e distribuita cifrata da una chiave pubblica (RSA), la cui corrispondente chiave privata è confidenzialmente mantenuta da dispositivi certificati dalla DCI — tipicamente dispositivi di masterizzazione o riproduzione del contenuto (attaccati ai proiettori delle sale cinematografiche), ai quali viene distribuita l’evidenza informatica contenente la chiave-contenuto da sbloccare per riprodurre il DCP. Tale evidenza è formata in un particolare file chiamato KDM (cfr. §2.16).

L’uso della crittografia per proteggere i DCP pone tuttavia diverse problematiche in merito all’archiviazione a lungo termine e alla conservazione dei documenti cinetelevisivi in tale formato: in seguito a smarrimento o a scadenza naturale dei certificati a chiave pubblica, infatti, non sarebbe più possibile generare altre KDM che potrebbero sbloccare la DCP.

Mentre da una parte si raccomanda che le organizzazioni dedicate alla produzione e riproduzione di opere cinematografiche compiute siano in grado di riprodurre almeno le DCP non cifrate, si sconsiglia alle medesime organizzazioni di produrre DCP, salvo per le seguenti finalità:

  • DCP non criptate per finalità di archiviazione a lungo termine e conservazione del master dedicato alla proiezione cinematografica;
  • DCP criptate per la sola finalità di distribuzione nelle sale cinematografiche.

Si sconsiglia di produrre DCP secondo lo standard DCI (ovvero secondo lo standard de facto e intermedio fra i due qui elencati, denominato “InterOp”), favorendo invece lo standard de iure SMPTE in quanto è l’unico a supportare, mediante aggiornamenti lenti ma costanti delle specifiche, le migliorie tecnologiche delle sale cinematografiche, sia in campo audio, che video, che intrattenimento di sala in generale.

Si raccomanda alle organizzazioni che archiviano un contenuto in formato DCP di archiviarne anche una versione in un formato indipendente dalle caratteristiche tecniche di una sala cinematografica digitale, quali quelli individuati in questo stesso capitolo.